Stiamo attraversando un momento della storia che ci rende più o meno tutti consapevoli di grandi trasformazioni che si stanno compiendo. La portata del cambiamento è data dalla numerosità dei livelli coinvolti, umani e anche naturali. Anche le abitudini di consumo, i modi di produzione, di costruire relazioni, di informare e di credere. Tutto cambia. E potremmo continuare ancora: nuovi equilibri geopolitici stanno affiorando, anche l’incombente problema climatico ci porta a scelte sempre più vincolanti, specie nel mondo della viticoltura. Si è appena concluso un ventennio dove la parola globalizzazione l’ha fatta da padrone, autorità alla quale ci siamo abbandonati senza condizioni. Ora, che il mondo è un pò meno aperto ma che a differenza delle epoche passate è altamente connesso ci troviamo a dover ripensare il prossimo futuro. E lo facciamo partendo dalle nostre tradizioni, dalla nostra terra. Questo è l’approccio che più o meno consapevolmente stiamo mettendo tutti in atto. Chi può fugge dalle città e scappa in collina. Chi è costretto dal lavoro a rimanerci, ci va da turista. È tornato il turismo di prossimità. E questa volta premia pure la qualità.
Il mercato del vino, a ben guardare i dati, e naturalmente tenendo sempre in conto tutte le asperità dovute alla situazione contingente: tra Covid-19 , Brexit e in parte anche le scelte di Trump giusto per menzionare i due nostri mercati principali, ha dimostrato una buona capacità di autocompensazione. È innegabile che con le chiusure degli ambienti pubblici destinati al ristoro il canale HORECA abbia segnato una pesante battuta d’arresto. Nel frattempo abbiamo visto sorgere nuovi players mentre altri consolidare la loro posizione. La diffusione degli e-shop e dei portali di vendita online, per esempio, non sono un fenomeno esclusivo del mondo occidentale: ne stanno nascendo di nuovi, ogni giorno, in tutto il globo.
In questo scenario generale attuale e prospettivo non possiamo fare altro che rilevare come l’internazionalizzazione per una azienda vitivinicola non rappresenti appena poco più che una possibilità ma debba essere una caratteristica del proprio DNA. In questa selezione “naturale” che stiamo vivendo molti settori non hanno resistito e se invece altri, come il mercato del vino, ci stanno mandando messaggi importanti è nostro dovere non ignorarli.
Per iniziare ad approcciarci in maniera concettuale ai nuovi processi di internazionalizzazione digitale occorre fare un salto nel passato e riferirci a due modelli che per molti anni hanno fatto da guida. Parliamo dell’UPP SALA MODEL e del CAGE FRAMEWORK.
UPP SALA MODEL (1977) prevedeva appunto un processo di internazionalizzazione a “piccoli passi” dove l’azienda doveva muoversi prima in paesi vicini geograficamente e culturalmente e una volta accumulata esperienza espandersi gradualmente verso mercati più distanti.
Il modello Cage elaborato dal Prof. Ghemawat prevedeva un processo di scelta dei paesi che distingueva tra : 1 )distanza culturale, 2) distanza amministrativa, 3) distanza geografica, 4)distanza economica. E anche in quel contesto si sottolineava come la distanza culturale poteva essere il gap più duro da colmare.
Se la distanza culturale è la barriera più difficile da superare è sempre lo stesso Ghemawat a sottolinearci come l’introduzione dei social e dei canali web rappresentino un mezzo estremamente efficace per ridurre queste distanze. Sempre che vengano utilizzati con un approccio strategico, aggiungiamo noi.
Questi modelli hanno accompagnato per decenni lo sviluppo delle grandi aziende e reso giustificatamente il processo di internazionalizzazione un percorso oneroso e appannaggio di pochi, per questo molto spesso guardato con diffidenza.
Ci chiediamo oggi, con il consolidamento delle presenze digitali aziendali che trovano giusta controparte nella diffusione di device personali, quante di queste distanze costituiscano ancora un ostacolo rilevante.
Il progetto Yourwineexport muove a partire da questa nuova consapevolezza: in quale modo i mezzi che usiamo più meno consapevolmente tutti i giorni possono permetterci di stravolgere questi modelli tradizionali e mettere in contatto realtà, anche molto piccole e distanti fra loro, che oggi chiamiamo “nicchie” ?
I mercati più maturi ma ancora interessanti sono tali se considerati nella loro varietà, nella capacità che hanno sviluppato di informarsi e di scegliere, di ricercare direttamente in prima persona il prodotto: è così che dovremo parlerete rispettivamente di importatori di nicchia, distributori e consumatori con un elevato livello di specializzazione. La digitalizzazione permette di instaurare una rapporto dialogico con questi interlocutori in una prospettiva a lungo spettro e sempre in un ottica win-win.
E bene ricordare in questa occasione e non mancherò di ribadirlo anche in altre, che il modello di marketing attualmente vincente si basa appunto sull’ individuazione e aggregazione di nicchie di mercato. Netflix e Amazon sono solo due degli esempi tra quelli più noti.