L’Hospitality Manager: il Maestro di Cerimonie nell’Enoturismo
nell’Enoturismo Homotenashi è una parola di lingua Giapponese che in italiano viene tradotta come ospitalità. Tuttavia questa parola si riferisce…
Dal punto di vista economico-culturale il “made in Italy” enogastronomico connota sempre più la peculiarità italiana, in quanto sinonimo di prodotto non replicabile. Sul mercato internazionale siamo diventati espressione di un territorio unico e inimitabile per l’eccellenza e originalità dei prodotti offerti. E’ necessario quindi affrontare i nuovi mercati con competenze strategiche innovative. Imprese e produttori devono essere in grado di costruire e comunicare l’alta “cultura del vino italiano” orientandosi a intercettare consumatori delle diverse aree mondiali con cognizione e competitività.
Il mercato del vino sembra non conoscere battuta di arresto. Nonostante la crisi in corso ha saputo auto-compensarsi come pochi altri settori. I dati sui mercati mondiali parlano chiaro: la domanda di vino di qualità è in crescita esponenziale da almeno una decina d’anni.
Accanto a paesi storicamente consolidati se ne affacciano altri con dati molto interessanti, coerentemente con la nascita delle nuove classi medie, la diffusione di strumenti digitali e le nuove consapevolezze di consumo.
YOUR WINE EXPORT si propone di trattare importanti fattori che favoriscono le aziende minori, rendendole protagoniste di un’era che apre loro nuove frontiere di export offrendo possibilità fino ad oggi inesplorate.
Il vino si presenta come bene “non comune “e può assumere molteplici valenze di mercato. La prima però, è proprio quella di bene comune.
In effetti potremmo considerarlo il bene di consumo per eccellenza: ovvero come semplice bevanda.
Per molti anni così è stato fatto nel nostro paese, privilegiando i volumi alla qualità, e finendo per causare una situazione di svantaggio rispetto ad altri Paesi nostri competitor.
La condizione di commodity lo ha posto alla base dei sistemi di mercato e quindi soggetto a conseguenze economiche che ben conosciamo.
In maniera diametralmente opposta, può anche essere considerato un bene di investimento: i vini da invecchiamento ne sono un esempio.
Esistono dei veri e propri caveau atti alla loro custodia e sono sorte aziende specializzate nel consigliare piani d’investimento. Tuttavia questa caratteristica è secondaria rispetto al nostro ambito di interesse.
Ci è invece sempre più nota la sua valenza di bene esperienziale. Questo anche grazie all’espansione del turismo enogastronomico il quale trova momento di massimo consenso nella degustazione, nell’ospitalità e in tutto quello che vi ruota attorno. É proprio il ruolo dell’ospitalità a entrare a pieno titolo nel ” circolo del bene importato”: prima lo si acquista a casa propria, poi si sente il desiderio di provarlo sul posto e infine, lo si riacquista per rivivere una volta a casa l’esperienza di viaggio.
Ma l’aspetto che maggiormente interessa lo studio della comunicazione del vino riguarda l’ambito simbolico. In primo luogo perché è ampliabile in quantità illimitata. E inoltre, proprio per la soggettività che caratterizza l’esperienza della degustazione grazie alla pluralità di sentori che come è noto questa bevanda è in grado di sprigionare. Pertanto sappiamo che può caricarsi di grandi e diversi valori attribuiti. Per questo motivo spesso assume valore di bene di status. In molti Paesi è ancora l’unico driver d’acquisto.
E per concludere, è ormai universalmente riconosciuto come bene di consumo culturale. Paragonabile a un libro. Proprio per il mondo che ogni singola bottiglia è in grado di veicolare. Diretta conseguenza della sua natura più esemplare: l’unicità.
La bottiglia come esempio di bene di consumo , forse più unico che raro, di link tra natura e cultura, grazie al legame tra territorio (natura) e azione dell’uomo (cultura). La parola Terroir sintetizza questo concetto. È stato proprio Luigi Veronelli, il nome più illustre dell’enologia italiana, a proporre l’accostamento tra il vignaiolo e l’autore di un libro.
Pensiamo a una azienda vitivinicola come una casa editrice: produce un contorno di contenuti culturali che circondano quello principale, il vino. L’etichetta è solo il primo mezzo di comunicazione. Poi ci sono le schede di tecniche. E c’è tutto l’ecosistema digitale dell’azienda (sito, blog, social, instagram). E gli eventi. Tutti contenuti che richiedono di essere “localizzati” e adattati qualora si consideri di veicolarli verso altri Paesi.
Oggi la scommessa è quella di riuscire a comunicare all’esterno, tanto dell’azienda, come dai suoi confini nazionali per esprimere la sua diversità e il suo valore. Attività che deve vedere coinvolti una pluralità di mezzi di comunicazione e piattaforme, attraverso una narrazione coerente, credibile e controllabile.
Questo si rende necessario e fondamentale, affinché non siano altri a farlo al nostro posto. Fenomeno che purtroppo si verifica in maniera preoccupante: si nota sempre di più l’avanzamento di soggetti esteri oppure semplicemente esterni al territorio di vocazione, e di lavoro, ma accomunati dalla capacità di cogliere con tempestività la trasformazione che sta travolgendo anche questo settore.
Con la piena consapevolezza che poche sono le zone al mondo vocate, e che quindi è nella scarsità che risiede il primo grande vantaggio competitivo (es. lo Champagne può provenire solo dalla regione dello Champagne).
La “cintura del vino” (o della vite) raffigura le due fasce comprese tra i paralleli 30°-50°, di entrambi gli emisferi, dove la vitis vinifera trova le condizioni idonee per la crescita. Le aree poste al di fuori di queste zone sono quindi le destinatarie dei prodotti vinicoli in qualità di sole importatrici.
L’Italia detiene il primato mondiale per volumi di vino esportati e risulta seconda in termini di valore. Negli ultimi dieci anni Paesi ieri definiti “emergenti” sono oggi pubblici interessati, sempre più competenti e raggiungibili, e vantano numeri non paragonabili al vecchio continente.
Guardando la Wine Belt capiamo come l’Export, per chi fa vino, debba diventare parte del proprio DNA.
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